Frequento
da qualche tempo il mondo degli scrittori indipendenti, cioè gli autopubblicati
che utilizzano gli strumenti messi a disposizione da internet (KDP, smashwords,
ecc.) per accedere - o tentare di farlo - a un pubblico di lettori
irraggiungibile per chi non ha la distribuzione garantita da una casa editrice.
Ho letto diversi lavori e alcuni li ho recensiti su questo blog, dunque posso
dire di essermi fatto un'idea della produzione indie nel suo complesso.
Premesso
che in questo settore, come in qualunque altro, sarebbe scorretto
generalizzare, è possibile individuare alcune caratteristiche comuni. Le
positive sono una certa ricchezza di idee, come ho fatto notare nelle
recensioni. Le negative riguardano l'auto-editing. Lo scrittore indie deve
arrangiarsi da solo perché non può contare su una revisione professionale, ma
troppo spesso non lo fa e la conseguenza è che il prodotto ha una qualità di tipo amatoriale.
Vorrei
soffermarmi su questo aspetto perché capita di leggere affermazioni (di parte)
secondo cui la produzione indipendente non ha nulla da invidiare a quella degli
editori veri. Dissento fermamente perché anche questa è una generalizzazione:
non si può mettere sullo stesso piano chi esercita la scrittura come un hobby,
scrivendo (letteralmente) come parla, e chi tenta di farne un lavoro vero, in
cui - come si suol dire - l'1% è ispirazione e il 99% traspirazione, cioè
fatica, impegno, tempo. Pensare (e scrivere) che non esiste differenza tra le
due categorie sarebbe fare un torto all'intelligenza del lettore: peccato
imperdonabile, evidentemente, per uno scrittore o aspirante tale.
Su
questo blog trovate quattro recensioni. Nei libri che ho commentato, le idee mi
sembrano migliori della loro realizzazione, ma trovo che la forma rispetta uno standard minimo di qualità. Su altri due lavori indie, invece, non scriverò
commenti né citerò gli autori perché desidero potermi esprimere senza offendere
nessuno. Nel primo caso, mi sono fermato dopo cinque pagine perché le scelte
lessicali sconfinano nell'umorismo involontario (in un'opera che non ha un tema
umoristico). Nel secondo, sono arrivato fino alla fine perché la storia mi
piaceva, ma ho avuto l'impressione di leggere un lungo componimento di terza
media, non un romanzo breve.
Insomma,
ciascuno ha il diritto (costituzionalmente garantito) di scrivere e leggere ciò
che gli garba, ma non
di farsi prendere sul serio quando afferma che un autore di successo è uguale al
Pinco Pallino che scrive "pò" con l'accento. E l'argomentazione che
in fondo i libri "indie" costano poco è inconsistente: il tempo
richiesto al lettore vale più dei soldi spesi per l'acquisto, che si tratti di
1 o 10 euro.
Per crescere, secondo me, l'autore
"indie" italiano deve lavorare di più, senza piangersi addosso né
chiedersi perché gli editori cattivi trascurano i suoi capolavori e
preferiscono puntare su Grisham (sotto, la copertina di uno dei suoi
bestseller).
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