I 70 anni dalla Liberazione d'Italia sono
stati celebrati con il solito torrente di luoghi comuni e beghe da cortile
politico locale. Copione deprimente che ha il solo merito di rappresentare un'immagine
fedele del Paese e l'importante demerito di escludere due ingredienti della
festa: il rispetto per la verità storica e la gratitudine.
A sentire i bollettini ufficiali delle
cerimonie, l'Italia si è liberata quasi da sola, grazie alla Resistenza. Quanto
al sacrificio di decine di migliaia di giovani venuti da lontano - Stati Uniti,
Gran Bretagna, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Polonia,... - , è raro
sentirlo celebrato nei discorsi. Ancora più raro è vedere sul palco i
rappresentanti di quei Paesi.
Altrove non è così. Quando tornerò in
Normandia per l'anniversario del D-Day, all'inizio di giugno, ritroverò i
veterani delle forze alleate - sempre meno numerosi, a causa dell'età - celebrati
come meritano dalle autorità e veri protagonisti della festa. Coccolati come
Nonni della Libertà, adorati come semidei da coloro che furono liberati, dai
loro figli e nipoti. Senza per questo dimenticare il contributo della
Resistenza, perché l'ammirazione per gli uni non esclude l'orgoglio per le
imprese degli altri, i connazionali che avevano saputo resistere alla
tentazione dell'indifferenza o della collaborazione.
Due Paesi vicini, due modi diversi di ricordare il
passato. Io preferisco la via francese. E trovo più interessanti i racconti di
un protagonista ultranovantenne di quelle vicende che i discorsi di un Renzi o
di una Boldrini.Sopra, veterani britannici a Merville (Normandia): protagonisti delle celebrazioni del D-Day.
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