Vivo da tempo all'estero e, quando torno in Italia, non ho bisogno di
segnali per capire che ho attraversato il confine. Ad avvertirmi ci
pensa Psycho. Psycho appartiene a un'etnia che si è insediata sulle
autostrade italiane, trovandole evidentemente più consone di altre alle proprie abitudini. Psycho
mi attende con una mano sul volante - o sulla tastiera dello smartphone,
dipende - e l'altra, la principale, sulla levetta degli abbaglianti.
Psycho è il pilota di un missile terra-terra
nero, normalmente di fabbricazione tedesca, con i vetri oscurati.
Psycho pattuglia la terza corsia e sa che non ho scampo. Se anche si
distraesse, ci sarebbero altri due, cinque, dieci Psycho pronti a
braccarmi e a punire l'arroganza con cui occupo il loro territorio per
compiere un sorpasso senza superare i 135km l'ora. Pochi attimi e lo vedo nello specchietto, il
vendicatore che si avvicina rapido e inesorabile fino a mezzo metro dal
paraurti. Poi tira la levetta e, wham!, il bianco abbacinante dei fanali
allo xeno è il colore di un invito senza appello: togliti dai piedi,
omuncolo. Allora affretto il sorpasso e mi faccio da parte. È chiaro che
ho torto. Le sostanze di cui si nutre Psycho gli danno una percezione
del pericolo - e della realtà - nettamente migliore della mia. E anche
se, per assurdo, avessi ragione io, meglio evitare proteste perché quelle stesse sostanze lo rendono poco incline al
dibattito.
Nei successivi 200 chilometri incontro altri due Psycho e
la sequenza si ripete. Per fortuna nessuno dei due usa armi da fuoco al
posto degli abbaglianti e me la cavo senza altri danni che il senso di
colpa per aver ostacolato il loro cammino. Ora sono a casa, sano e
salvo. Saranno tornati a casa anche loro, felici di aver ripulito la
terza corsia. Non più Psycho ma affettuosi Norman Bates che accarezzano
il cadavere impagliato del loro doberman.
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